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IL MATRIMONIO CINEMATOGRAFICO FRA SORRENTINO E SERVILLO

Oggi, nella nostra rubrica di cinema, parleremo del rapporto che si instaura fra attore e regista, soffermandoci su una coppia in particolare: Tony Servillo e Paolo Sorrentino. Tanti sono gli esempi di registi che hanno il loro attore preferito, quello a cui, a prescindere dal copione, danno la parte del protagonista. Citiamo, per tutti, Francis Ford Coppola e Robert De Niro, ma ci sarebbero altri esempi. Lo stesso Tarantino sembra non poter fare a meno di Samuel L. Jackson. Ma torniamo a noi. Tony Servillo ha girato, con Sorrentino, pellicole di altissimo profilo che esaltavano la cupezza dell’attore e la poliedricità eccentrica del regista. Non possiamo non partire da “L’uomo in più”, film del 2001, molto poco conosciuto e forse, anzi sicuramente, sottovalutato. È uno spaccato straordinario di due vite, che non si intrecciano mai, ma che, parallelamente, viaggiano attraverso le loro ascese e le loro, rovinose, cadute. L’interpretazione di Servillo, nei panni di Tony, cantante all’apice del successo, cocainomane, sciupafemmine, una smodata passione nel cucinare il pesce, con il mondo nelle sue mani, tranne scoprire, nei momenti difficili, di essere solo. Come detto, parallela la vita del calciatore Pisapia, interpretata dall’ottimo Andrea Renzi, anche lui trovatosi solo, dopo essere stato osannato negli stadi di tutta Italia. Mirabili alcune battute che, purtroppo, sono cult solo per quelli che lo hanno visto e amato. “È Up a’ serata…”. ”Uè, t’ vec sfinat, sbilanciam na sigaretta…”. “Ma questa è una Ferrari”. E l’altro, di rimando: “Tony, stà machina ten ù stess mercato ca tieni tu”. Dramma della solitudine che, però, mentre per Pisapia sfocia nel suicidio, per Tony ha un insolito colpo di coda, che ha la sua sublimazione nei minuti finali, con un monologo ipnotico e un sorriso finale, in prigione, con la spigola da dividere con i compagni di cella. “Fatemi sapere” è la frase ultima del film, con l’applauso dei convitati che al nostro suscita il sorriso più sincero della sua vita. Imperdibile. Sorrentino sembra conoscere alla perfezione quel che può chiedere al suo sodale, se vogliamo un po’ monocorde nella sua recitazione (“L’uomo in più” è l’eccezione), ma che riesce a trasmettere, grazie proprio alla regia, alla voce dimessa fuori campo, quella sorta di immedesimazione nel personaggio che, alla fine, te lo fa comprendere e apprezzare. Esempio di quest’ultimo passaggio è il film “Le conseguenze dell’amore”. Stupendo racconto di un commercialista, Titta Di Girolamo, costretto a vivere in un albergo Svizzero per l’intera sua esistenza, per ripagare uno sgarro alla Camorra. Atmosfera cupa, dialoghi lenti e sommessi. Faccia, sempre quella, ma in contesti diversi, ed è qui la bravura di Sorrentino che, di suo, oltre a scandire ritmi consoni alla recitazione di Servillo, di suo ci mette sempre quel tocco grottesco, a volte noir. Ne “Le conseguenze dell’amore”, disegna un personaggio taciturno, schivo, reso cinico dallo scorrere degli eventi, ma con un colpo di genio: ogni mercoledì, alle 10 del mattino, fa uso di eroina. Sempre lo stesso giorno e sempre alla stessa ora e così, nei pensieri confusi, si annida l’inadeguatezza del nome del suo fornitore, Ludovico, che il nostro protagonista trova “inappropriato per uno spacciatore”. Anche qui finale con scatto di orgoglio e ribellione, quando sembra che possa riaccarezzare la felicità che, come in tutta la sua vita, gli viene beffardamente sottratta da un destino grottesco.

Dolenti note. A volte la voglia di procedere sempre e comunque con lo stesso attore, ha portato la coppia a delle forzature. Due film su tutti: Loro e il Divo. Un trucco, a mimetizzare le fattezze, troppo incongruente. Una volta si diceva: “Sì, ma non c’ha il fisico”. Ecco, paragone perfettamente calzante per le due pellicole. Concludiamo, ovviamente, con “La Grande Bellezza”. Oscar e Golden Globe nel 2014 come miglior film straniero. Film, a mio parere, un po’ ruffiano. Forzato in alcune parti e con delle lungaggini evitabilissime. Film ben confezionato alla bisogna, senza dubbio. Una musica adeguata, degli scorci di Roma che sono cartoline, frasi diventate celebri: “Io non volevo essere il re delle feste, io volevo avere il potere di farle fallire”. In mezzo, terrazzi mozzafiato, la realtà pecoreccia e festaiola di Roma, con Sorrentino che tenta di alternare questa visione, con spruzzate di introspezione, silenzi, personaggi fisici e una comicità abbastanza volgare. Certo, Jep Gambardella sarà sempre il personaggio. Crudo, cattivo e impietoso il suo monologo (sequenza spettacolare) ad attaccare una sua cara amica, finendo con: “Tutti noi abbiamo una vita devastata, l’unica cosa che possiamo fare e stare qui, parlare di cose, e volerci bene”. Citazione per la grande interpretazione di Carlo Verdone. Davvero straordinario. La carriera dei due ha avuto anche separazioni consensuali. Servillo ha dato ottima prova di sé in film come “La ragazza del lago” (Cupellini) e “Una vita tranquilla” (Molaioli). Sorrentino ha seguito la moda del momento. Quella dei grandi attori e dei grandi registi che si cimentano nelle serie TV. Direi straordinario “The Young Pope”. Solo immaginare quel tipo di storia fa di un uomo un regista.

Carlo Marrazza

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