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VIAGGIO NEI LUOGHI CHE (NON) CONTANO – INTERVISTA AL POETA FRANCO ARMINIO

È stato un insolito e catartico viaggio quello che domenica 16 agosto mi ha condotta fino a Bisaccia, paese natio del poeta Franco Arminio, da anni impegnato contro lo spopolamento dell’Italia interna. Quello della “Paesologia”, per Franco, non è solamente un ideale per il quale battersi: è una scelta di vita. Nelle strade di Bisaccia, profondamente segnate dall’abbandono, ho potuto apprezzare fino in fondo la sua missione. Ho raccolto frammenti del suo vissuto dalle testimonianze di chi lo ha conosciuto, per poterlo incontrare, qualche ora dopo, in tutta la sua interezza. O forse nel suo diverso modo di sentirsi una parte del Tutto. Perché, in un tempo in cui si parla di distanziamento dagli altri, le parole di Franco ci costringono a ripensarci in termini di amore universale: “bisogna procurarsi un distanziamento da se stessi, incarnarsi veramente nell’aria del mondo”.

Nella nota introduttiva del suo ultimo libro, “La cura dello sguardo”, c’è un passaggio che mi ha colpito ed è quando lei scrive: Io mi curo di me guardando fuori. Perché il poeta non può bastare a se stesso?

“Perché nessun essere umano basta a se stesso. E il poeta non fa eccezione. Guardarsi intorno, dimenticarsi di se stessi, a volte, non può che fare bene. Io porto dentro l’immagine di chi mi ha stretto la mano stamattina, dell’aria che ho respirato. Io sono un pezzo del mondo e il mondo è un pezzo di me. Per me tutto è animato, anche la pietra, anche la foglia”.

Nell’epoca in cui viviamo prevalgono i luoghi dell’anima o i luoghi comuni?

“Io cerco i luoghi dell’anima, i luoghi che hanno un’intensità, una sacralità. I luoghi comuni sono quelli che inevitabilmente frequento anche io, appunto perché comuni. Ma dovremmo avere il coraggio di scegliere i luoghi che hanno un’orma particolare, senza temere la solitudine. Se senti che è un luogo vero, lo devi cercare. Se la tua posizione è vera, la devi sostenere. Il conformismo sta impoverendo il mondo. Troppo spesso la banalità viene fatta passare per buon senso e la poesia per un’anomalia del sistema”.

Se dico L’Aquila dico abbandono oppure fierezza?

“Ho scritto che L’Aquila “viene dall’oro e dai pastori” per richiamarmi alla nobiltà delle sue origini: una città ricchissima costruita da un mestiere povero, quello pastorale, per l’appunto. Ma è chiaro che questa fierezza oggi non c’è più”.

Teme di più il suo “sabotatore interno” o quella parte di mondo che ancora non ha detto sì alla poesia?

“La parte di mondo che ancora non ha detto sì alla poesia è molto grande. Io sono uno solo. Eppure ho più paura del mio sabotatore interno. Non ho paura di affrontare i poteri forti, né di scontrarmi con le persone. Ho invece paura della morte, ho paura che il terreno mi ceda sotto i piedi da un momento all’altro. Tutto ciò che è fuori non potrebbe mai spaventarmi allo stesso modo”.

Ha mai tradito la poesia?

“Da quando ho cominciato a scrivere non c’è stato mai un giorno, un mese, un anno in cui io abbia voltato le spalle alla poesia. Anche nei momenti in cui la poesia sembra allontanarsi da me, io la cerco sempre. La inseguo. In tutto ciò che mi accade vedo già quale esodo potrebbe avere nella lingua. Cosa potrebbe accadere sulla pagina. Ecco, anche adesso che sto rilasciando questa intervista, sto già pensando a cosa potrei scrivere dopo”.

 

Milena Cicatiello

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